Pericolo e rabbia. Terrore ed errore. Confine e ordine.
Basta far cadere una lettera e le parole, nella loro traduzione inglese, affondano in nuovi significati e spalancano prospettive più ampie.
Accade nelle installazioni luminose disposte a parete come un monito da Kendell Geers (1968, Johannesburg) alla galleria M77.
È la prima personale milanese dell’artista, già protagonista di grandi rassegne internazionali, come Documenta 11, curata nel 2002 dal curatore nigeriano Okwi Enwezor.
Raccoglie opere storiche e recenti, installazioni, dipinti e sculture oltre alle icastiche scritte luminose a parete, tra arte e linguaggio.
Tutte hanno un impatto potente, immediato, non lasciano indifferenti.
Gli abbiamo chiesto il perché di una poetica così ruggente, per capire le ragioni della sua opera e della sua mostra dal Sudafrica post Apartheid alla pandemia fino al Black Lives Matter.